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Crescere bimbi bilingue se si vive all’estero: è opzionale o forse è quasi un obbligo?

Crescere bimbi bilingue se si vive all’estero. E’ davvero così difficile? E’ opzionale o forse è quasi un obbligo?

 

English in Fabula si concentra sul voler aiutare i genitori che vogliono crescere bimbi bilingue in Italia, principalmente in lingua inglese (ma non solo). Però oggi vorrei parlare di quanto può essere importante trasmettere ai bambini la propria lingua madre (nel nostro caso l’italiano) se si vive in un Paese straniero. Oppure per uno straniero che vive in Italia quanto sia importante trasmettere ai suoi figli la sua lingua madre.

 

Parliamo sempre dell’importanza per i bambini di sapere più lingue (in particolare di sapere parlare l’inglese essendo la lingua più parlata al mondo e la lingua multiculturale per eccellenza). Abbiamo più volte enfatizzato quanto sia importante trasmettere la seconda o terza lingua sin da piccoli, perché in questa fase il cervello del bambino è come una spugna, ed in particolare per le lingue c’è una fase di ricezione che non si avrà più dopo una certa età.

 

Vorrei però oggi mettere in primo piano un argomento che fino ad ora non ho affrontato, forse perché non mi è mai capitato di valutare l’importanza di questo discorso.

 

Se trasmettere una lingua in più, ad un bambino che vive nel Paese di origine dei suoi genitori è un dono, un “di più” che può solo portare del positivo; trasmettere la lingua madre di uno o di entrambi i genitori, quando si  vive all’estero è invece “un must” (essenziale). E’ cioè necessario per il rapporto che questo bambino crescendo potrà avere con il Paese di origine dei suoi genitori (e quindi con le sue origini) e con i suoi parenti nel Paese di origine (in particolare i nonni, che difficilmente potranno apprendere la lingua del Paese dei nipoti).

 

Vorrei sottoporvi un paio di esempi per dare meglio l’idea.

 

Ho un’amica che vive in Inghilterra e che ha avuto un bambino a cui ha parlato con costanza la lingua Italiana. Magari non sempre la lingua Italiana è rimasta la lingua più utilizzata tra di loro, soprattutto con il crescere del bambino, i tanti impegni e la facilità dell’uso di quella che era per loro la lingua predominante, cioè l’inglese. Però questa mamma ha avuto costanza, inoltre Il bambino aveva un continuo rapporto con il nonno italiano (che vedeva spesso sia in videochiamata che di persona), e con i figli degli amici della mamma in Italia. Infatti, avendo la mamma la possibilità di lavorare da remoto, appena ne aveva la possibilità veniva in Italia e portava con sé il figlio. Il bambino quindi passava tutte le estati in Italia (e spesso anche durante gli “half-terms”, le pause che hanno durante l’anno scolastico a scuola in Inghilterra, venivano in Italia). Adesso che questo bambino è ormai un teen-ager, ha 14 anni, parla un ottimo italiano e non ha alcun problema a relazionarsi con il nonno o con i suoi contatti Italiani, e non avrebbe alcun problema a trasferirsi in Italia con la madre o in futuro da adulto.

 

Altro esempio. Ho un amico che si è trasferito in Australia. Si è sposato con un’australiana e ha avuto 3 figli. Purtroppo nessuno di loro parla o capisce l’italiano, e non si sono mai potuti relazionare con i nonni, se non attraverso il padre, l’unico che parlava l’italiano.  Ora che sono adulti (19 anni) non riescono a parlare con i nonni, i quali soffrono molto per questa mancanza di rapporto.

 

Inizialmente questo papà aveva pensato di parlargli in Italiano, o in qualche modo di insegnare ai suoi figli la lingua. L’approccio iniziale è stato l’uso di attività ludiche fatte con i bimbi quando erano piccoli. Poi però, nel quotidiano, con il fatto che la mamma non parlava l’italiano e che lui lavorava tante ore e li vedeva poco, l’entusiasmo iniziale si è affievolito e le attività si sono fatte più sporadiche. Una volta poi che i figli hanno iniziato la scuola ed erano immersi 24/7 nella cultura australiana, l’italiano si è perso del tutto. Un vero peccato, sia per loro che per i parenti in Italia (in particolare i loro nonni) che soffrono molto di questa mancanza.

 

La lingua è comunicazione e senza la lingua comune la comunicazione non può avvenire e non si può stabilire un rapporto, la parentela non basta. Il quotidiano e il crescere ci porta poi a perdere la possibilità di imparare una lingua in tempi brevi e aver perso il treno quando si era piccoli, cioè quando si era più aperti ai suoni stranieri, più ricettivi all’apprendimento e si aveva più tempo da dedicare all’apprendimento, comporta poi fare molta fatica a recuperare. Non è mai troppo tardi per carità, ma è fatica.

 

Chiedo quindi a voi, cosa avrebbe dovuto fare diversamente il mio amico? Certo quando è il papà che parla la seconda lingua diventa più difficile trasmetterla ai figli, perché è la mamma che passa di solito più tempo con loro soprattutto quando sono piccoli. E’ però davvero così difficile? Lo è ma non impossibile, io credo. Voi cosa ne pensate?

 

Se lui avesse iniziato, fin da piccolissimi, ad utilizzare l’italiano come loro lingua di comunicazione, chiamando spesso in Italia e parlando spesso con i nonni. Se avesse cercato altre famiglie di Italiani (in Australia c’è una grande comunità di italiani), per fare amicizia ed organizzare delle giornate con loro e fare interagire i bambini con altri bimbi bilingue. Se avesse letto loro in italiano, o gli avesse fatto ascoltare canzoni o vedere cartoni o film in lingua italiana. Se questo avesse avuto una certa continuità per almeno i primi 8/10 anni della loro vita, avrebbe creato una base solida e il resto sarebbe venuto con più semplicità e naturalità in seguito.  Dall’età della scuola poi avrebbe potuto fargli frequentare un corso di lingua italiana o cercare un’insegnante italiana, o ancora ospitare un Au Pair italiana, per l’aiuto con i bimbi, che avrebbe parlato loro in lingua italiana tutto il tempo. Insomma le opzioni ci sono, non sono facili ma sono tante.

 

Ho un ultimo esempio di cui parlarvi. Quando ero a Londra ho lavorato per un paio di ristoranti italiani. Il proprietario del primo ristorante, sposato con una donna inglese, non ha mai trasmesso la lingua ai figli (una femmina e un maschio) tanto che la figlia femmina all’età di circa 23 anni ha deciso di trasferirsi in Italia, vivere un po’ lì con i cugini, per imparare la lingua del Paese di origine. Il fratello invece, non ha sentito questa esigenza e non l’ha mai imparato. Il secondo italiano per cui ho lavorato era sposato invece con una italiana e quindi essendo entrambi i genitori italiani il figlio ha imparato la lingua in famiglia, dove veniva parlata sempre. Aveva quindi un ottimo livello di italiano parlato, ma i genitori non erano pienamente soddisfatti perché non avevano avuto tempo/modo per spiegargli la grammatica, la lingua scritta ecc. Lo hanno quindi mandato ad una scuola italiana a Londra, per fargli apprendere bene la grammatica e l’ortografia. Alla fine di questo percorso, da adulto, quando l’ho conosciuto io, il suo livello di italiano era come quello di un nativo, stesso livello per la lingua inglese imparata nel luogo dove è nato e cresciuto. Quindi è un bilingue equilibrato in entrambe le lingue.

 

Sono scelte. Scelte molto diverse l’una dall’altra. Ma sono scelte molto importanti e possono cambiare diverse cose nel futuro dei nostri figli e dargli opportunità che non avrebbero altrimenti. Pensiamoci bene.

 

Il messaggio di questo post è: se vivete in un Paese che non è quello di origine dovete trasmettere la vostra lingua madre ai vostri figli. Non è più una scelta, non è più solo un dono in più che gli fate, ma una necessità per loro ed un dovere per voi. Avete il dovere di mantenere le origini ed un dovere nei confronti dei vostri genitori che hanno diritto ad un rapporto con i nipoti.

 

Almeno io la vedo così. E voi cosa ne pensate? Inviatemi spunti e riflessioni via e-mail o commentate questo post.

 

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Un saluto a tutti voi cari genitori, educatori e tutori che ci mettete il cuore e l’anima! Keep up the good work!

 

 

 

 

 

 

 

 

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